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Giornata del ricordo 2022: ennesima conferma dell'impossibilità di memoria condivisa

Il lungo e travagliato percorso all’istituzione, nel 2004, della Giornata del Ricordo in memoria - e rispetto - degli infoibati e del conseguente esodo istriano-giuliano-dalmata, aveva fatto ben comprendere l’ostilità di una precisa parte politica la quale, nonostante i ripetuti mutamenti di sigla e di maschera, non ha mai avuto alcuna intenzione di ammettere i crimini compiuti in nome della propria ideologia.

Ulteriore conferma oggi, quando si ripete il teatrino che vede protagonisti pretesi “storici”, invitati da compiacenti o superficiali amministratori comunali a sciorinare una personalissima ricostruzione dei fatti, che vengono così minimizzati, distorti, banalizzati, giustificati.

È il caso di Eric Gobetti, il quale ostenta proprie fotografie a pugno alzato, con indosso maglietta recante l’effigie di Tito e poi ancora a fianco della sua riverita statua. Questa la levatura dello studioso, ovviamente acclamato nei propri ambienti; questo il messaggio di obiettività ch’egli lancia. Qualità che hanno evidentemente convinto qualcuno a Savigliano ad accoglierlo come coscienzioso relatore del dramma accaduto ai nostri connazionali. Verrebbe da chiedersi, si presentasse qualcuno compiaciuto nell’essersi fatto fotografare a braccio teso nel saluto romano, con a fianco il busto di Mussolini, quale equidistanza ispirerebbe a lor signori la sua narrazione del Ventennio.

Nel libro “E allora le foibe?”, pubblicato lo scorso anno da Laterza, Gobetti attua un sottile gioco delle parti sin dal titolo, facendoci chiaramente intendere quanto esprimerà nel contenuto, con uno schermo di protezione innalzato a separare le responsabilità delle dittature rosse dalle nere. Il suo impegno, dice, consiste nel prendere le distanze dalla retorica che tende a strumentalizzare le foibe trasformandole in un memoriale fascista. Del resto, ci spiega, a dispetto dei barbari scenari evocati, le foibe altro non erano che luoghi di sepoltura, non di esecuzione, poiché, salvo casi rari, le persone vi erano gettate già

cadaveri. A beh, allora… Morte di peste? No, ma erano militi fascisti, bisogna contestualizzare, continua lo “storico”, c’era una guerra in corso. Ma questi, si potrebbe obiettare, erano sì nemici, ma prigionieri la cui condizione non era stata rispettata. E i civili, e Norma Cossetto? La risposta è sempre pronta: genitori fascisti, tessere del Partito. Che si vuole di più? Senza dimenticare l’acredine che il regime aveva alimentato negli slavi, costretti tra l’altro all’uso della lingua italiana.

Curioso che lo stesso schema, a partire dal titolo, sia stato adottato da altro libro della Laterza uscito anch’esso nel 2021; lo segnaliamo: “Anche i partigiani però…”, di Chiara Colombini, ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”. Si tratta di una denuncia dei “luoghi comuni e delle falsificazioni sulla Resistenza”, come si legge in ultima di copertina.

Bisogna dar atto alla strategia comunista di essersi spesa molto bene, sin dall’immediato dopoguerra, per diffondere dappertutto il proprio verbo attraverso un’ingegnosa rete organizzativa che ha investito ogni apparato del Paese. Innanzi tutto creando l’ANPI, associazione che, mantenuta con denaro pubblico, a distanza di oltre settant’anni dalla guerra civile continua a tener desto l’odio di parte. Fedeli alleati - altrettanto sovvenzionati con fondi governativi - sono gli Istituti Storici della Resistenza, che operano alla stregua di soggetti privati costantemente attivi nella propaganda ideologica. E si è visto che anche in tema di foibe queste realtà non mancano mai di essere presenti, nelle città come nei

piccoli centri, andando a catechizzare con loro rappresentanti i ragazzi nelle aule scolastiche.

In tutto questo non manca l’apporto più o meno consapevole di certi settori amministrativi e

giornalistici i quali, per prudenza o conformismo, seguono la corrente. In proposito, un solo esempio, ma illuminante. Nel 2020, presso la passerella ciclopedonale bovesana dedicata al Giorno del Ricordo, si erano riunite alcune decine di persone su iniziativa del “Comitato X febbraio”.

L’Amministrazione locale era presente nella sola persona del vicesindaco. Cronisti, istituzioni e associazioni varie avevano, com’era del resto prevedibile, disertato l’incontro che pure era stato annunziato alla stampa.

Significativa, in particolare, l’assenza della Scuola di Pace, fatta notare al vicesindaco il quale, visibilmente imbarazzato, aveva cercato di giustificarne il vergognoso comportamento con la rassegnazione alla singolare licenza di agire di cui gode l’“emanazione” comunale che, alla faccia della sua intitolazione e dei propositi manifestati dal suo fondatore, continua sin dalla sua apertura ormai quasi quarantennale a discriminare in base a pregiudizi di esclusiva natura politica.

Perciò si preparino, anche questo 10 febbraio, ad avere l’amaro in bocca coloro che non sono soliti a strumentalizzare la realtà piegandola a interessi di parte, intendendo semplicemente riflettere, senza etichette e qualsivoglia distinguo, sul feroce destino occorso ai nostri fratelli italiani.


Ernesto Zucconi

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